Il Nulla, Nonna Bice, il Computer e Sighinulfo da Modena
Scritto semiserio in avvicinamento alle problematiche inerenti al Nulla ed all’Energia Perfetta.
Se per oggi nulla vi è rimasto da fare e non sapete come ammazzare il tempo e se poi condividete il detto latino “Nullus liber est tam malus ut non aliqua parte prosit” (Nessuno scritto è così sconclusionato che da nessuna sua parte si possa trarre qualcosa di utile) allora potreste iniziare a leggere quanto di seguito si riporta.
Il NULLA, NONNA BICE, IL COMPUTER E SIGHINULFO DA MODENA
Dedica
A Nonna Bice
Beatrice Polverisi
(Roma 25 Aprile 1874 – Roma 8 Febbraio 1927)
Presentazione dell’Autore
Piacere, Stroppiana Paolo
Introduzione
La maestra si avvicinò alla lavagna e su di essa, con il gesso e con l’aiuto di un righello, in una direzione scelta a caso che per comodità operativa risultò orizzontale, tracciò un segmento alle estremità del quale e lungo il suo allineamento aggiunse numerosi punti tra loro intervallati da un breve spazio.
Quel giorno, per noi alunni, fu creata la retta che, costituita da una successione di punti, proseguiva all’infinito in qualunque dei due versi venisse percorsa: la retta non aveva né origine né fine.
La maestra trovò che il nuovo concetto era stato introdotto in modo buono ma, stanca per l’impegno profuso nel comunicarlo, al suono della campanella tornò a casa a riposarsi e venne sera.
Giunto il mattino del giorno seguente, Martedì, sulla retta disegnata alla lavagna e che nessuno aveva cancellato la maestra scelse un punto a caso, scrisse accanto ad esso la lettera “ O” e lo chiamò origine; venne così a separare la retta in due parti creando due semirette le quali avevano un principio in comune e proseguivano all’infinito la prima in un verso e la seconda nell’altro: dall’unità uguale a se stessa nell’infinito si generarono due opposti limitati nella loro infinità.
La maestra trovò che il nuovo concetto era stato introdotto in modo buono ma, stanca per l’impegno profuso nel comunicarlo, al suono della campanella tornò a casa a riposarsi e venne sera.
Giunto il mattino del giorno seguente, Mercoledì, sulla semiretta di destra, disegnata alla lavagna e che nessuno aveva cancellato, la maestra determinò una corrispondenza tra i punti che la costituivano, e che aveva iniziato a marcare pesantemente con il gesso, ed i numeri interi e positivi.
E così iniziò a segnare sotto al primo punto che si incontrava dopo l’origine “O”, che veniva fatta coincidere con lo zero (0) , il numero uno, sotto al secondo punto il numero due e così via per tutti gli altri e per i nuovi che aveva aggiunto fino al limite della lavagna e poi, accompagnando con il gesto della mano che allontana da sé il loro proseguire nell’immaginario della mente, fece corrispondere al punto posto all’infinito nello spazio l’infinito numerico.
La maestra trovò che il nuovo concetto era stato introdotto in modo buono, ma stanca per l’impegno profuso nel comunicarlo, al suono della campanella tornò a casa a riposarsi e venne sera.
Giunto il mattino del Giovedì seguente, la maestra, indicando dalla cattedra i numeri scritti sotto i punti della retta rimasta disegnata sulla lavagna, associò ad essi i giorni ed allo zero “0” fece corrispondere l’istante dell’origine dell’Universo, al numero “1” il giorno dell’evento, al numero “2” il successivo e così, continuando nella progressione, ai numeri posti all’infinito fece corrispondere i giorni del futuro senza fine.
La maestra trovò che il nuovo concetto era stato introdotto in modo buono ma, diversamente dalle volte precedenti, non in modo altrettanto buono era riuscita a comunicarlo ottenendo, infatti, il solo risultato di far nascere, nelle menti di noi alunni, interrogativi per i quali non si cercavano risposte nel timore soffuso di venire a conoscenza di verità inquietanti ed il silenzio creatosi nell’aula risultava oltremodo eccessivo anche per una classe di quarta elementare degli anni ‘50.
Che strano! La retta andava all’infinito lungo i suoi punti facendo percepire l’esistenza di un qualcosa di misterioso e poco rassicurante, ma la possibilità di disegnarla aveva successivamente restituito fiducia nella sua natura.
Quel Lunedì, sui fogli del nostro quaderno avevamo incominciato a rappresentare la retta con un segmento lungo o corto a nostro piacimento con la possibilità di cancellarlo per rifarlo nuovamente nel caso non fosse venuto diritto od i puntini di completamento non allineati: noi eravamo interessati solo a quel poco nostro e se la retta avesse voluto proseguire all’infinito era liberissima di farlo.
Il Martedì, poi, la semiretta aveva fatto concentrare tutta la nostra attenzione su quel suo punto “O”, l’origine, facendoci dimenticare quelli posti all’infinito e lo stesso colore rosso con il quale lo avevamo marcato teneva lontano dalla mente eventuali grigi pensieri.
Il Mercoledì successivo, la numerazione dei punti della retta ci aveva addirittura permesso di giocare a chi sparava il numero più grande partendo dai più piccoli per arrivare al pacioso milione e raggiungere i dieci milioni e passare al miliardo ed al miliardo più uno, più dieci, più mille mentre “infinito” non valeva perché era una parola e quindi non composto da cifre, ma se poi si accettava come valido, allora ecco l’infinito più uno e si rincominciava ad aggiungere zeri fino a che era la noia a porre fine al gioco e non un improbabile vincitore; certamente i numeri correvano più velocemente della nostra fantasia ma potevano andarsene lontano dove volevano, a noi bastava non contare più e quelli, per quanto ci riguardava, si fermavano o meglio li fermavamo alla cifra che noi volevamo e poi, gira che ti rigira, erano sempre gli stessi 0,1,2,3,4,5,6,7,8,9, sempre quei dieci che si combinavano tra loro creandoci tanti problemi, è vero, ma sempre risolvibili con quattro semplici operazioni.
Invece, quel fatidico Giovedì eravamo rimasti disorientati nell’apprendere che i giorni, con i quali ci alzavamo insieme e che consideravamo amici, ci avrebbero abbandonato andandosene via lontano con i numeri e senza dirci dove.
A voler essere sinceri, i giorni ci avevano sempre fatto pensare alla presenza di un qualcosa di ambiguo nel loro essere: al singolare, li avevamo conosciuti come il momento del risveglio e dell’inizio dei giochi in casa o nel sole, successivamente si erano fatti distinguere tra quelli normali e quelli speciali dei regali, poi, in età scolastica, guardando il calendario dei mesi e dei Santi, li avevamo trovati classificati tra feriali, domenicali e di festa fino a quando, con le prime e semplici nozioni di astronomia impartiteci dalla maestra, ci era stato detto che i giorni, con il loro buio e la loro luce, erano la conseguenza della rotazione della terra intorno al suo asse durante il moto di rivoluzione che compiva intorno al sole ed ora, nell’ultima e più aggiornata versione, si presentavano come elementi autonomi che insieme ai numeri, in fila indiana, si dirigevano verso i confini ignoti del futuro!
C’era in quel tempo un alunno di nome Tommaso che siedeva in un banco in fondo all’aula e che a nessuna cosa detta credeva se prima non otteneva una prova convincente atta a fugare ogni dubbio sulla veridicità della stessa, costui, fattosi coraggio, chiese alla maestra come poteva essere che i giorni proseguissero all’infinito se, arrivati al numero 365 con il 31 Dicembre, ripartivano poi nuovamente da uno con il primo Gennaio.
Allora la maestra (Negli anni ‘50 la figura della maestra era ancora unica nel suo essere comunicativo e solo in anni successivi avrebbe palesato la sua natura trina che poi, nell’opera di divulgazione del verbo, sarebbe andata sempre più di numero aumentando), pronunciando il suo nome per due volte con intonazione di benevole rimprovero, scese tra noi, ci raccolse intorno a sé ed iniziò a raccontare la parabola del pallone che calciato maldestramente andava a finire contro il vetro della finestra frantumandolo in mille pezzi; ciò che era avvenuto non si poteva più modificare perché era impossibile fermarsi per poi tornare indietro sui propri passi con l’intento di correggere il tiro: il danno era irrimediabile e l’eventuale punizione non prevedibile nelle sue modalità.
Perplesso, Tommaso chiese allora che gli venisse spiegato il significato di quelle parole e la maestra gli rispose dicendo che il giorno presente sarebbe scivolato via senza fermarsi e senza più riproporsi, e quello successivo non avrebbe permesso di farsi sopravanzare per lasciarsi conoscere prima del suo appalesarsi; i giorni, unici ed irripetibili, se ne andavano inarrestabili nell’infinito indifferenti ed insensibili a qualsiasi nostra supplica di non lasciare su di noi e sulle cose l’impronta del loro progressivo passare.
Nell’aula il silenzio era divenuto tombale. I giorni impalpabili, fuggenti nel futuro senza fine, ora incutevano un timore reverenziale tanto che il pensiero non aveva nemmeno più il coraggio di avvicinarli e si ritraeva confuso da essi senza oltre interrogare.
Ma ormai, per quel Giovedì, l’ultima ora di scuola stava giungendo al termine e non c’era più tempo per fermarsi a riflettere ancora su cose tanto più grandi di noi, era arrivato il momento di rimettere nella cartella libri, quaderni, penne e matite mentre la maestra avrebbe incominciato a togliersi il grembiule (rimanendo nella sottoveste nera che lasciava scoperte ginocchia e spalle) per poi rivestirsi in un’atmosfera densa di omertosa complicità attraversata da sguardi costretti ad essere sfuggenti dalla consapevolezza che le repliche di quello spettacolo offerto ad alunni di nove anni, e sui quali aveva incominciato a fare un certo effetto, si sarebbero interrotte se fosse venuto a mancare quell’atteggiamento di falsa indifferenza verso una consuetudine consapevole della sua falsa normalità.
La maestra sarebbe poi andata a truccarsi in bagno ripresentandosi in classe con la cipria su quel volto un po’ troppo severo, che i grandi occhiali dalla montatura scura non certo ingentilivano, il rossetto dal colore rosa perla sulle labbra sottili, ed i capelli neri, con qualche filo bianco, riassettati in un’acconciatura che li vedeva separati al centro della nuca e tirati all’indietro a formare un piccolo codino legato alla base del collo.
Ancora un battito di ciglia e la campanella avrebbe fatto scattare il “fuori tutti!”.
Il concetto dei giorni senza fine era stato recepito in modo non tanto buono ma, comunque, aveva affaticato la nostra mente così che, al suono della campanella, tornammo a casa a riposarci e venne sera.
Andati a letto, non riuscivamo a prender sonno tenuti svegli dal pensare non alla maestra ma a quello che aveva cercato di spiegare durante la mattina appena trascorsa. Non si poteva tornare nei giorni passati o proiettarci nel futuro ma solo costretti a proseguire nel presente; però, una volta, la stessa maestra ci aveva detto che ogni quattro anni, nei bisestili, veniva aggiunto al calendario il 29 Febbraio e questo giorno era stato inventato dagli astronomi per darci la possibilità di avere ventiquattro ore da impiegare a nostro piacimento al di fuori delle regole generali del mondo.
Tanto avevamo capito non avendo capito nulla!
Ma se così era, e per noi era proprio così, allora potevamo manipolare i giorni ed influire su di essi!
Nella nostra testa c’era molta confusione, tuttavia c’era parso logico ipotizzare che se fossimo riusciti a non far più ruotare la terra intorno al suo asse i giorni si sarebbero fermati e noi avremmo potuto fare tantissime cose e rimediare a tutti gli errori commessi.
L’idea risultava geniale ed il pensiero si spostava sulla ricerca concreta di come poterla realizzare.
Ma qualcosa non quadrava infatti, se per caso fossimo riusciti nel nostro intento, rimaneva da bloccare il moto di rivoluzione della terra intorno al sole altrimenti sarebbero rimasti gli anni a farsi contare al posto dei giorni; dunque, bisognava fermare la terra in ogni suo movimento tuttavia, raggiunto questo obiettivo, risultava evidente che il problema si sarebbe riproposto con la Luna e così via con tutti i corpi della volta celeste ma poi, se veramente fossimo riusciti a realizzare la fissità dell’Universo, a quel punto, cosa sarebbe successo?
Questo nuovo interrogativo portava il pensiero ad espandersi verso l’ignoto dello spazio siderale creando una sensazione di vuoto e disorientamento che la posizione supina, nel silenzio notturno, contribuiva ad accentuare: la realtà sembrava sfuggirci e gli occhi, spalancati istintivamente per ritrovarla, si dilatarono nel buio della stanza.
Presi dal panico di essere risucchiati in una dimensione sconosciuta, convulsamente ci affrancammo dal vincolo delle coperte per portarci seduti nel letto alla ricerca della rassicurante percezione della gravità smarrita nel turbamento cosmico e, con nostro sollievo, le membra irrigidite dalla tensione incominciarono lentamente ad abbandonarsi al proprio peso ed il capo a piegarsi sulle ginocchia permettendo agli occhi di chiudersi per trattenere la ritrovata quiete della mente.
Curvi su noi stessi a consumare i resti di quell’incubo, rimanevamo tuttavia disancorati dalla concretezza dell’essere quando il cuore, con i suoi battiti, si propose alla nostra attenzione riportandoci finalmente nella realtà e confermandoci definitivamente che la vita continuava a scorrere in noi e che mai ci aveva abbandonato!
Ma quei battiti, invece di allontanarsi portati via dal passare della paura, si attardarono nella mente che, ancora stordita, incominciò a contarli trascinando nuovamente il pensiero verso l’infinito dei giorni senza fine.
La conta era iniziata distrattamente, trascinata dalla cadenza imposta dai battiti, ma a poco a poco sembrava che essa stessa avesse preso a dettarne il ritmo e, nel proseguire, si era assurdamente convinta che il suo interrompersi avrebbe determinato il loro arresto e così si sentiva costretta ad andare avanti in un impegno sempre più faticoso fino a quando la stanchezza non ebbe il sopravvento ed il cuore continuò per suo conto.
Il cuore batteva trasmettendo la sua presenza in ogni parte del corpo e noi, impietriti dal timore che potesse bloccarsi, eravamo rimasti fermi ad ascoltarlo: i battiti erano regolari, vigorosi, tali da invitare ad aver fiducia nella continuità del loro proporsi ma l’essere costretti ad attendere nell’incertezza che ad ognuno di essi ne seguisse un altro ci procurava uno stato di angoscia snervante per la sua ripetitività.
L’immobilismo imposto dalla paura rimaneva totale, ma a tal punto eccessivo da risultare al fine assurdo, ridicolo, ed allora iniziammo a muoverci ed il primo gesto che ci venne spontaneo fare si rivelò essere quello di accostare la mano destra al petto in corrispondenza della zona dalla quale le pulsazioni si irradiavano.
Il cuore palpitava indipendentemente dalla nostra volontà, sembrava altro da noi dentro di noi, una presenza che inquietava e creava una sensazione di disagio misto a repulsione tale da rendere insopportabile il suo seppur mediato contatto e la mano istintivamente si ritrasse a cercar di negare alla mente quello che le aveva fatto percepire.
Troppo tardi, ormai avevamo compreso che non eravamo noi i padroni della nostra vita e che questa, non dipendeva dalla nostra volontà di vivere ma dal continuativo battere del cuore e che se questo si fosse fermato non l’avrebbe fatto per riposarsi ma per non più ripartire.
No! Non doveva fermarsi!
Eppure un giorno si sarebbe bloccato. Ma quando? Quanti battiti rimanevano ancora a disposizione del nostro vivere? Un milione, cento milioni, mille? E poi? E poi sarebbe sopraggiunta la fine, forse nel letto di una stanza o nel sole di un giorno che sarebbe stato l’ultimo per noi e che avrebbe posto termine ad ogni sorta di affannoso contare.
Ma i giorni, i giorni dove sarebbero andati e perché non avrebbero più voluto portarci con loro?
Ma che potevano fare i giorni!
Il ripetitivo sorgere e riporsi del sole cercava solo di distrarre il pensiero da quel giorno lunghissimo senza più alba e senza più tramonto, senza più numeri e senza più finire e dove ogni cosa in esso si consuma ed al quale viene dato il nome di tempo.
Nel prendere coscienza dell’esistenza di questo fluire senza riferimenti, risultava palese che il tempo ci aveva presi stretti per mano sin dalla nascita ed ineluttabilmente ci stava trascinando verso il baratro della morte nel quale saremmo stati lanciati per sprofondare nel suo buio infinito: l’eternità apparve allora in tutto il suo orrore ed un urlo di disperazione l’accolse!
Da quella notte, il mondo avvolto dai colori della felicità dove il vociare affettuoso non faceva percepire i rumori della vita si sarebbe allontanato per sempre cedendo il posto alla realtà che, nel suo grigiore, avrebbe sostituito all’immagine paffuta di Gesù bambino la figura del Cristo morente sulla croce!
E così iniziammo a capire che tante domande non avrebbero mai potuto avere se non vaghe risposte ed insistere a porle serviva soltanto a risvegliare in chi ci era accanto i nostri stessi tormenti e la serenità che avrebbe dovuto darci la speranza della resurrezione nella beatitudine eterna si annullava nella disperazione procurata dal pensare al suo non finire mai più.
A nulla serviva scacciare avanti nel tempo il pensiero della nostra morte dicendoci che tanti anni ancora sarebbero rimasti davanti a noi; sempre tornava alla mente l’ineluttabile momento del distacco dalla vita e l’aprirsi dell’orrido verso l’ignoto dove il domani sarebbe succeduto a se stesso per l’eternità.
Volevamo che la nostra vita non finisse mai per allontanare il momento del suo perire ma continuare in questa od in un’altra esistenza senza più finire non riuscivamo a concepirlo e lo smarrimento che nei momenti di solitudine provocavano quei pensieri ci faceva gridare nell’angoscia più totale.
Intender non lo può chi non lo prova *.
Allora, per non impazzire, recitavamo ad alta voce le preghiere che ci era stato insegnato doversi rivolgere al Creatore e volevamo che rimbombassero nella nostra mente e ci stordissero, le ripetevamo ossessivamente per non avere il tempo di pensare fino a quando, stremati, tornavamo calmi e ci offrivamo a Colui che, lontano, avvolto in una fredda luce impenetrabile, chiedeva incondizionato rispetto.
Eppure volevamo sentirLo vicino perché sapevamo che la Sua presenza ci avrebbe rassicurato anche se tanti dubbi affioravano sulla Sua vera esistenza ed inoltre rimaneva l’interrogativo se Colui al quale volevamo affidarci era veramente il Giusto per noi.
Della Sua esistenza e della Sua bontà una prova, per favore una prova! E dalla Scienza un aiuto senza temere del clerical potere l’ira funesta che infiniti addusse lutti anche a Lei!
Infatti, ci era sembrato che, con le sole preghiere, la prova non sarebbe venuta a noi, ed allora, iniziammo a cercarla tra le teorie scientifiche e filosofiche che nel corso del tempo erano state formulate, lasciandoci guidare da tutto quello che della storia dell’umanità e della religione cristiana ci era stato insegnato.
Così facendo, avevamo trovato verità interessantissime che rimpallavano dalle sferiche alle piane ed alle paraboliche domenicali, poi c’era la prova del no vera o falsa che fosse, il jolly, che risolveva laicamente ogni problema a piacer nostro e poi la prova che non si trovava più e poi altre ancora.
Ma più cercavamo più andavamo in confusione e capivamo che se avessimo continuato su quella strada ci saremmo fatti certamente un’invidiabile cultura ma non saremmo andati da nessuna parte.
E poi anche la Scienza, palesatesi a noi tanto sicura di sé, avanzava mettendo in discussione quello che precedentemente aveva formulato così che non avrebbe mai potuto raggiungere la Verità assoluta ma solo avvicinarsi sempre più ad essa in tempi infinitamente lontani. E se fatto pari a 100 il Vero assoluto, al raggiungimento di quale percentuale i nostri tormenti si sarebbero sopiti e come fare?
Quando ormai eravamo sul punto di arrenderci, per rimanere nell’angoscia di sempre, giunse il momento dell’abbraccio con l’amor profano ed allora provammo che amare, il perdersi del piacere fisico nel più nobile dei sentimenti, riusciva a far dimenticare l’orrore del tempo infinito e ad avvicinarci al Gaudio Assoluto?
Sì o no?
No! Magari fosse andata nel verso del sì! In verità, in verità si può dire che non si batteva chiodo!
Ma in una notte nella quale la fantasia, alla tenue luce di una lampadina furtivamente accesa e timorosa di filtrare dalla stanza, volteggiava morbosa sulla ritrattistica a soggetto monotematico presente in una rivista dai fogli patinati e prima del momento al quale seguiva la disperazione, ci apparve la figura di nonna Beatrice circondata da luce intensissima: era lei, sola, venuta ad infonderci un po’ di quel calore, di quel coraggio che non aveva potuto darci per mancanza della sovrapposizione temporale delle nostre vite e ad indicarci, con l’indice della mano destra, la direzione da seguire per raggiungere quello che ardentemente più di ogni altra cosa al mondo desideravamo in quel momento della nostra vita; poi scomparve prima che potessimo tentare di abbracciarla per almeno una delle tre volte previste come consuetudine in quei casi e senza darci la possibilità di scusarci per averla ricevuta in un momento così sconveniente del nostro fare.
Eccitati al pensiero che le nostre pene si sarebbero in breve sopite, fummo purtroppo costretti a ritornare nella depressione più nera quando capimmo che un banale equivoco era sorto sull’oggetto del desiderio!
In realtà, quel porgersi della figura eterea di nonna Bice stava a significare che non al fugace piacere terreno ma ad altro dovevano essere rivolti i nostri pensieri ed in alto tornare a guardare per trovare la pace cercata!
Non appena di questo invito prendemmo coscienza, subito iniziammo quel cammino che doveva portare alla soluzione del nostro problema esistenziale.
Gli ostacoli si presentavano numerosi e difficili da superare con le nostre uniche forze ma per fortuna le Scienze avevano permesso alla Tecnica di realizzare il computer “personal” dandoci così la possibilità di trovare in lui l’amico al quale confidare il nostro tormento e con il suo aiuto e con le perle di saggezza offerteci da Sighinulfo da Modena (sec. XII) incamminarci là dove Nonna aveva indicato.
In breve tempo, dopo esser riusciti a superare le incomprensioni dovute alla diversità di linguaggio esistente tra noi ed il Computer, lo facemmo partecipe dei numerosi dati raccolti durante le ricerche che avevamo effettuato nel corso degli anni e gli affidammo il gravoso compito di elaborarli per poi rispondere ai quesiti che strada facendo si presentavano.
Ad ogni domanda riguardante la nascita e lo sviluppo dei vari eventi presi in considerazione, l’amico virtuale rispondeva fornendo configurazioni possibili ed assegnando loro delle percentuali di verità tanto più elevate quanto più semplici esse risultavano ed in modo ragionevolmente congruente (senza lasciare troppi spazi di dubbio tra loro) si inserivano nel contesto generale.
Noi ci eravamo riservati il compito di individuare il punto dal quale iniziare la ricerca per poi indirizzarla e successivamente assemblare i vari tratti di quel percorso che ci avrebbe portato verso la prova d’amore desiata, quella che riguardava il Sovrannaturale e quella solamente.
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*Tratto da Dante Alighieri -sonetto a Beatrice Cap. XXVI della “Vita Nova”-
Parte prima
Nel mezzo della storia.
Il principiar nel mezzo di una Storia
Rende ascosa della cagion il tema
E del suo dramma obliata la memoria
Al cui pensier la mano ancora trema.
Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII.
Capitolo I
Val di Eden e le scimmie dal pollice opponibile. Distruzione e morte.
C’era una volta, in un luogo sconosciuto della terra, una valle meravigliosa ricoperta da verdi prati fioriti ed ombreggiata qua e là da alberi carichi di frutti la quale era attraversata da un fiume le cui acque scendevano a giocare con le rocce degli argini per poi, a tratti, riposarsi in sonnacchiosi laghetti.
E cosa dire dei monti che circondavano quella valle! Non le alte vette lodate da lontano ma che ghiacciai perenni e pareti vertiginose rendono inospitali alla vita!
No!
I loro fianchi, addolciti da morbide pendenze, si lasciavano penetrare dalle robustose radici di cedri maestosi e là dove questi venivano a mancare, là, oltre il limitar alto del bosco, erano lunghi fili d’erba a ricoprile facendole ondeggiare quando mossi dalle carezze di un vento leggero.
Stormir di rondini si udivano e passeri cinguettare, simpatiche caprette vedeansi andar per la radura insieme alle specie animali di similar loro pacifica natura e tranquille brucar col capo chino senza timor d’agguato a lor vicino, infatti non erano presenti le belve feroci od altre specie di mortiferi predatori che avrebbero macchiato di sangue quella valle e rotto il suo incantesimo di armonia.
Amore e solamente amore regnava in quel luogo, amore grande, amore bello che, mirabile visu, era riuscito a stemperare perfino la natura focosa del “serpens diabolicus”, che si era trovato a passar lì per caso, ed a portalo a mutarsi in un innocuo serpentello dalle mascelle così piccole che, quantunque le spalancasse totalmente, non riusciva mai ad addentare dall’albero alcuna delle grosse mele dal colore rosso porpora, le “Deliciae cardinalis”, delle quali era divenuto improvvisamente molto ghiotto.
E poi il clima! Era evidentemente mite e favorevole al sereno sviluppo dell’ambiente dal quale era a sua volta condizionato. Nuvole e piogge? Quanto bastava. I raggi del sole scaldavano tiepidi senza scottare ed anche l’umidità era regolata al punto giusto.
Come tutte le valli di una certa importanza, se non altro per poterla catalogare tra i beni paesaggisti ed ambientali considerati patrimonio dell’umanità, il computer aveva ad essa attribuito il nome di “val di Eden” che, per pura coincidenza, risultava analogo a quello attribuito da Antico Testo ad un mitico luogo paradisiaco.
Ma un giorno, ed eravamo intorno a 2,6 milioni di anni in dietro nel tempo a contare dalla nascita di Cristo, scimmie, antropomorfe, che tra tutte quelle al tempo presenti sulla crosta terreste erano le più evolute (non solo perché nel loro incedere utilizzavano quasi esclusivamente gli arti inferiori ma soprattutto perché, quando dovevano darsele di santa ragione, si servivano di bastoni), risalendo il corso di un fiume (forse l’Eufrate), giunsero in val di Eden e nella stessa si insediarono.
Questa volta, nulla poté l’amorevole bellezza della valle contro la massiva proterva rozzezza dei nuovi arrivati e rami spezzati, fiori carpiti ed abbandonati sull’erba calpestata, rifiuti lasciati ovunque, schiamazzi e grida riecheggianti in ogni dove iniziarono a turbare l’ecosistema del luogo mettendo in pericolo il suo fragile equilibrio
Così le scimmie, anziché insediarsi nella valle rispettando la sua atavica armonia, ne presero possesso asservendo la natura alle proprie voglie e necessità iniziando a compromettere stoltamente il suo ecosistema.
Nell’inconsapevole stoltezza dell’agire passarono anni, secoli e millenni fino a quando accadde che a furia di spadroneggiare per val di Eden camminando con andatura sempre più arrogantemente eretta e maneggiando costantemente bastoni, tra le scimmie di val di Eden ne nacque una di sesso maschile fatta strana in quanto, diversamente dalle altre, si trovava ad avere l’alluce non più opponibile ma articolato solamente nella direzione del moto di avanzamento ed inoltre ridotto in lunghezza tanto da non permettere al piede di svolgere la sua primordiale azione prensile, mentre il pollice era divenuto opponibile così da permettere alle rimanenti dita della mano di racchiuderlo interamente entro il palmo della mano stessa.
Fin dalla più tenera età, questa scimmia additata come “quella dal pollice opponibile” (l’alluce risultava avere un minore impatto visivo e quindi un trascurabile coinvolgimento nello sprezzante appellativo) venne derisa, emarginata e sottoposta ad ogni sorta di ignobili episodi di bullismo da parte degli altri giovani del branco ma, nella solitudine impostale, essa notò che quella strana conformazione delle mani le permetteva di impugnare e maneggiare il bastone con un’abilità ed una forza inimmaginabili per quei tempi e l’alluce e le altre dita del piede, corte e poco articolate, di correre velocissimamente, più di ogni altro suo simile.
Così rinfrancata, la scimmia “dal pollice opponibile” incominciò a ribellarsi ad ogni sopruso ricevuto ed a manganellare tutti quanti, tanto i colpevoli quanto gli innocenti, a destra e a manca ed a scappare velocemente in caso di difficoltà comportandosi nel modo consono ad un vero capo e, ben presto, tale fu riconosciuta da tutte le altre scimmie che a questo novello duce fecero atto di sottomissione.
Dall’atto di sottomissione, nulla nacque dalle scimmie di sesso maschile mentre da quelle di sesso femminile vide la luce la progenie delle “Scimmie dal pollice opponibile”.
La nuova comunità aveva ereditato usi e costumi delle antenate scimmie dal pollice non opponibile e così il potere che ogni singolo individuo esercitava sugli altri rimaneva proporzionalmente legato alle dimensioni e durezza del bastone in suo possesso ed il prestigio era correlato al saper quello maneggiare con perizia ed a mantenerlo in posizione eretta il più a lungo possibile
Purtroppo, la libidine del potere che obnubila la mente trascinandola a compiere i più nefandi delitti trovò nel miglioramento della capacità prensile delle mani la possibilità di impugnare bastoni sempre più grossi così che da quelli ricavati dai rami degli alberi si passò ben presto ai tronchi degli stessi e dai più teneri a quelli assai duri dei cedri maestosi che ricoprivano e proteggevano i fianchi delle montagne tanto che, a furia di sradicarli, su di esse non ne rimase più alcuno.
L’ecosistema della val di Eden era stato irrimediabilmente sconvolto! I raggi del sole, non più trattenuti dalla vegetazione arborea, infuocavano i fianchi delle montagne, il terreno inaridito era fessurato da profonde crepe, le piogge sempre più rade si concentravano copiose e violente solo in brevi periodi dell’anno e giornate di intenso freddo invernale si alternavano ad altre caratterizzate da un insopportabile caldo estivo: non esistevamo più le mezze stagioni!
Per tanto, erano venute a determinarsi le condizioni che avrebbero portato ad un’immane catastrofe ambientale ma non si poteva più tornare indietro!
Così, in una cupa e ventosa notte di fine Marzo, una pioggia insistente scaricò sulle montagne di val di Eden tanta acqua che i pendii, esausti, non riuscirono più a trattenerla e torrenti di fango e detriti si riversarono nel fondo della valle trascinando con essi scimmie e bastoni.
L’immane tragedia si era compiuta. Distruzione e morte ora regnavano in val di Eden!
(Il computer stampava che quanto riportato dall’inizio del Capitolo I fino alla sua conclusione aveva un’elevata probabilità di essere avvenuto, tanto elevata da rasentarne la certezza: accadde).
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Roma 08 Aprile 2018
Copy right. Tutti i diritti riservati.
Continua.
Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà: Lilith. Ed uscirà sempre su questo sito.
Capitolo II
Lilith
Ma il destino, questa volta pietoso, fece in modo che al mattino del giorno seguente cotanta tragedia i primi raggi di luce ritrovassero, addormentata sopra un giaciglio di foglie trattenute da canne che la furia del vento aveva intrecciato, una scimmietta di un anno o poco più, unica sopravvissuta della sua specie e vicino ad essa una capretta dalle mammelle turgide di latte.
Al risveglio, la scimmietta rimase disorientata nel vedere il paesaggio così mutato rispetto all’immagine che di esso aveva impressa nella memoria ma accanto a sé era venuta a trovarsi una capretta con le mammelle turgide di latte, radici commestibili affioravano dal terreno sconvolto dalla tempesta, l’acqua era presente in abbondanza ed inoltre non più la confusione che i fratelli, le sorelle e tutte le altre scimmie provocavano ed i rimproveri dei genitori ormai divenuti insopportabili!
La scimmietta non poteva pensarlo ma il Computer, in sua vece, riportava che date le circostanze, analizzando i pro ed i contro, quello era il migliore dei mondi possibili nel quale potesse trovarsi ed essa, infatti, nulla avrebbe chiesto di più alla vita se non quello che la valle era in grado di offrirle.
Come si chiamasse la scimmietta non fu possibile accertarlo perché, rimasta sola, nessuno la chiamava ed allora, per esigenze identificative, il computer scelse per essa il nome di Lilith.
In quella natura sconvolta, gli specchi d’acqua fangosi non potevano che riflettere un’immagine matrigna del volto e delle sembianze di Lilith ma chi, essere umano, avesse potuto ad essa avvicinarsi, sarebbe rimasto turbato dalla sua infantile graziosità.
Passati i primi momenti di stordimento ambientale, la vita riprese lentamente a scorrere nella val di Eden ed il tempo iniziò a mostrare Lilith divenire ogni giorno sempre più carina così che quando giunse nell’età della compiuta adolescenza si offrì all’Universo tutto come creatura di rara beltà selvaggia!
Insieme al crescere di Lilith, anche nella valle, sulle montagne e lungo le sponde del fiume si erano venute a rimarginare le colpose ferite inferte dalla stoltezza scimmiesca e, dopo poco tempo, la val di Eden ritrovò il suo antico splendore.
Una valle incantevole e la presenza di una bellezza così inquietante sarebbero state fonti di sicuro richiamo turistico se coeve al mondo attuale.
Ma non era quello il tempo delle moltitudini chiassose e deturpanti! Altro avrebbe avuto l’onore e l’onere di poter godere di tutto quel ben di Dio!
Ed in omaggio il Capitolo III !
Capitolo III
La nascita di Adamo ed Eva e la scomparsa di Lilith.
Un giorno d’Estate, mentre Lilith scherzava leggiadretta assai con l’acqua del fiume lì dove scorreva veloce e spumeggiante, lo sguardo di Colui che tutto sa, che tutto pensa, che sta in cielo in terra, in ogni luogo e per di più nel medesimo istante e che, per farla breve, identifichiamo, con doveroso rispetto, nell’Onnipotente, si posò su di essa.
Altre volte, quando la scimmietta, piccina, era intenta in giochi solitari, la sua visione faceva nascere amorevoli sentimenti paterni di protezione ma ora non più, era diverso: il suo corpo ormai adulto e sensuale accendeva il fuoco del desiderio che nemmeno il velo di tristezza che la solitudine aveva imposto sul suo volto (il classico viso d’angelo su di un corpo troiano) riusciva a spegnere ma anzi faceva ardere con sempre più alta fiamma.
Quella visione che sprigionava sensualità bucolica fu galeotta e l’irreparabile al fin avvenne; ma in quale modo poteva ora giustificarsi davanti all’Universo tutto l’attuazione di quel desiderio che pur sull’angusta terra ritiensi disdicevole così che la morale alla vergogna addita chi non riesce a trattenerlo tra i pensieri inconfessabili della sua mente?
Era quindi al sopruso del potente sul povero derelitto, all’arbitrio del tiranno sul suddito indifeso, alla circonvenzione di un essere incapace di intendere e di volere razionalmente che doveva trovarsi una giustificazione?
No!
Bestemmia chi dovesse dire questo e la dannazione eterna sia la giusta punizione per chi solamente ne venisse sfiorato dal pensarlo!
Nell’evidente impossibilità di avere discendenti, con la fine di Lilith si sarebbe estinta la famiglia delle “Scimmie dal pollice opponibile” bloccando l’impulso evoluzionistico dell’Universo e cancellando definitivamente il disegno Divino, a noi sconosciuto nei suoi iniziali ed ultimi tratti.
Confidando in un esito favorevole degli eventi, si era riposta fiducia in coloro che poi stoltamente l’avevano tradita! Si doveva porre fine agli indugi e riprendere le redini dell’Universo che il Caos aveva sottratto; così, giustamente sfruttando l’attimo favorevole nel quale occhi indiscreti non potevano vedere, la volontà Divina risolse di manifestarsi e la scimmietta si ritrovò confusa con nuova vita che stava iniziando a svilupparsi dentro di essa.
A questo punto, sorgeva spontanea la domanda suggerita non da morbosa curiosità ma generata soltanto dalla volontà di apprendere per poi eventualmente applicare: in quale modo andarono in concreto le cose?
Il Computer aveva cercato di approfondire la questione con impegno davvero commovente ma nonostante gli sforzi non era riuscito a trovare una configurazione plausibile ed ad un tratto i suoi percorsi probabilistici si bloccarono.
Era inevitabile che questo avvenisse perché, ricadendo l’evento nella problematica dei Misteri Gaudiosi, mai nessuno può e potrà essere in grado di conoscerlo nei suoi aspetti reconditi.
Comunque il fatto accadde, fu e tanto deve a noi bastare e sarebbe cosa cattiva, ingiusta e fonte di perdizione, oltre che assai ilare e smitizzante, richiamare alla mente modalità simili a quelle che testi pagani attribuiscono ad un loro dio, falso e bugiardo che volle abusare di una giovinetta con l’uccello di un uccello! (Mitologia greco-romana: Leda e il cigno).
In conclusione, l’unica cosa che al riguardo, con sommo rispetto, siamo sicuri di poter affermare è che Colui che tutto sa e tutto può se la trombò da Dio.
Volgaritade all’improvviso detta
Molestia reca alli presenti tutti
Ma regina delle risa è eletta
In un consesso di sollassi e rutti.
Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena * sec. XII.
Ma:
Volgaritade sul finir di un dire
Conculca in breve detto lo pensiero
E si acconcia meglio a far capire
L’argomentar lungo e assai severo.
Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII.
(Ma poi, di cosa stupirsi ed indignarsi! Parimenti, il Sommo Creatore si manifestò in epoca successiva con Maria la Beata Vergine, anche se in forme rispettose e fin troppo appariscenti riscontrabili nel far annunciare la Sua imminente venuta dall’Arcangelo Gabriele. Ma si capisce, questa volta si trattava di una Signora!)
Comunque, proseguendo nella ricostruzione probabilistica degli eventi, all’amico Computer risultava che, subito dopo il concepimento, quel Signore venuto dal Cielo si eclissò e non si fece più vedere così che l’umile Lilith si trovò da sola a portare avanti quella gravidanza misteriosa.
(In effetti, questo comportamento sfuggente del Creatore, volto a non riconoscere le proprie responsabilità terrene, trova conferma, seppur in altra circostanza ed in un tempo successivo, nelle parole del Cristo morente: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. – Dal Vangelo secondo Matteo (cap. 27 versetto 46)
Il pancione stava diventando proprio grosso, dovevano essere due gemelli e tanto accadde.
Il primo esserino a venire al mondo fu un maschietto, che purtroppo nacque malformato perché privo di una costola, il secondo una femminuccia che all’apparenza risultava normale.
A questi infanti, che però già adulti ritroviamo descritti in un Testo di antica saggezza ed in esso appellati Adamo ed Eva, il computer aveva inizialmente assegnato nomi alfanumerici come conseguenza di un percorso rigorosamente scientifico, ma poi, soffermandosi sulla configurazione del “discorso probbabbilisticamente coretto”, considerando la frequenza con la quale i due nomi biblici erano stati successivamente imposti ai nuovi nati e la frequenza con la quale dalle genti erano utilizzati negli improperi, si era risolto in fine nel chiamarli così come ereditato dalla tradizione.
Adamo ed Eva assomigliavano fisicamente alla madre anche se i loro lineamenti erano ancor più gentili e più radi erano i peli sui loro volti. Lilith andava orgogliosa dei suoi due marmocchi e con l’esempio, accompagnato da suoni gutturali, mostrava loro le semplici cose che conosceva e che si limitavano a quelle necessarie alla sopravvivenza.
Compiva sedici anni quel giorno la loro mamma quando, operosa camminando lungo il fiume, scivolò nelle sue acque battendo il capo contro un masso e, abbandonata dalla vita, la corrente la trascinò via con sé.
Adamo ed Eva, non vedendola tornare e preoccupati per il suo forte ritardo, quantunque ancor piccini, cominciarono a cercarla in ogni dove ma, ahimè! Invano.
Per giorni e giorni cercarono nella valle e lungo le rive del fiume inoltrandosi fin dove era loro possibile ma nulla, neanche una benché minima traccia, un pelo, che stesse ad indicare un percorso da seguire con maggiore speranza; i poverelli non sapevano che il destino mutevole si era ripreso quello che un giorno aveva concesso.
Alla fine, esausti, si rassegnarono a non vederla mai più!
/////
- Nulla sappiamo relativamente alla vita del grande pensatore Sighinulfo da Modena se non quello che di sé stesso ci ha lasciato in due rime:
Son Sighinulfo di stirpe modenese
Che un dì nella vita a scriver prese
Mettendo esse al posto della seta
Per usi non per licensa di poeta!
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Roma 15 Aprile 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà: Il peccato degli innocenti. Ed uscirà sempre su questo sito tra sette giorni.
Capitolo IV
Il peccato degli innocenti.
Il fiume tratteneva dentro di sé il corpo della scimmietta lasciandolo riemergere solo per tratti sempre più brevi lungo il suo fluire lontano, ed il passare dei giorni tratteneva sempre più a lungo confuso nel tempo il ricordo della madre ai figli di lei.
Banane, lamponi e senza intorno co…oni (?), la val d’Eden era un posto pieno di virtù e la tristezza in breve passò e poi e poi e poi arrivarono i giorni della pubertà.
Ad Eva, senza turbarla, iniziò a girare quel ciclo che alla madre avea veduto avere, mentre ad Adamo, al quale era mancata la presenza di una figura paterna, dava molta preoccupazione il doversi svegliare, spesso, di notte, bagnato da una sostanza uscita da quello, che fino ad allora aveva utilizzato per l’espletamento di un’unica funzione fisiologica, quand’esso era divenuto troppo gonfio. Un’infezione? Il pus che uscendo brioso da un grosso foruncolo interno riporta nella norma i valori di una temperatura corporea alterata? Il “giovinetto” non riusciva a comprendere.
Comunque non era più come al tempo dei giochi infantili che facevano scherzare innocenti; ormai, il contatto prolungato dei loro corpi, quando per caso avveniva, dava strane sensazioni e sulla riva del fiume o nei prati lo sguardo di Adamo ed Eva era sempre con maggiore insistenza attratto dagli organi riproduttivi delle specie animali più evolute e da come queste utilizzassero quelli in contatti penetranti e frenetici realizzati invariabilmente nella sola ed unica posizione loro concessa per il compiersi dell’atto.
All’uscita del giorno i due “ragazzi” li vedevano liberi ma non avevano il coraggio di imitarli e li osservavano per ore ed ore fino a tardi.
Che anno era, che giorno era?
Il computer non riusciva a stabilirlo ma riportava che infine Adamo ed Eva decisero di mettere in pratica quelle pratiche che fino ad allora aveano sol visto praticare ed, inconsapevolmente orgogliosi della loro superiorità evolutiva, in piedi, l’uno di fronte all’altra, rivolsero verso il basso sguardi ed attenzioni proponendosi, impacciati, di annullare anche loro quelle che apparivano come immotivate diversità.
Si presentarono subito delle difficoltà che Adamo non riuscì a superare mentre Eva, accusando un repentino mal di testa, si ritrasse ed il forte rumore di tuono che si stava preparando a far vibrare di sdegno la val di Eden fu subito soffocato nel silenzio dell’Armonia Celeste.
In seguito Eva gli fece intendere che era una frana ma Adamo questa cosa qui non la credette mai; comunque, benché ferito nell’orgoglio, anziché reagire da bruto, rimosse il ricordo dell’insuccesso e non propose più la ripetizione di quell’imbarazzante contatto che era stato spinto, è vero, ma non troppo.
Il tempo se ne andava lento senza farsi ricordare quando in una giornata di sole agostano, mentre Adamo disteso supino all’ombra di un cedro maestoso si era addormentato profondamente, accadde che, forse per il caldo, forse per il troppo aver mangiato, quel terzo suo dito medio tra le gambe posto, incominciò ad allungarsi ergendosi diritto fino a raggiungere la sua massima estensione in un’inusitata forma.
Per caso, dall’alto di un albero di mele, mentre stava assaporando qualche frutto, Eva fu colpita da quella visione ed attratta unicamente da sana e distaccata curiosità scese precipitosamente dalla pianta e con altrettanta solerzia si pose a cavalcioni sopra Adamo.
Essendo mancina, con la destra teneva una “ Deliciae cardinalis” ormai arrivata quasi a fine degustazione mentre con l’altra mano si ingegnava ad impugnare quello che sembrava esser divenuto una barra di comando con tanto di pomello.
Sarà stato per la precarietà degli appoggi, sarà stato per un movimento troppo brusco, fatto sta che Eva scivolò facendo scomparire totalmente dentro di lei quel diverso dal suo.
Solo allora abbandonò la presa della mela (la quale, ridotta quasi ad un torsolo, fu addentata senza difficoltà dal serpentello goloso che se la portò via lontano) e con entrambe le mani cercò di risollevarsi per scacciare l’intruso che molestia assai le procurava ma, tardando nell’opera sua non essendo adusa a trattar con simili arroganze, avvenne che Adamo si svegliasse ed anch’egli dolorante avendo perso il filo della situazione e confuso per il tanto inconsueto agitarsi, cercò di togliersi da quella giacitura che l’opprimeva, ma l’inarcarsi del bacino di lui faceva perdere l’equilibrio a lei che ricadeva di nuovo su di lui e così per numerose volte tanto che, dopo un certo tempo, si ritrovarono abbandonati l’una sull’altro sfiniti ma appagati.
Non c’era ragione (e per di più i due progenitori della razza umana ancora non l’avevano) che Eva potesse provare sensi di colpa, tuttavia si sentiva a disagio per come si era conclusa quella situazione che le era sfuggita di mano e così, con gesti e con suoni gutturali, resi ancor più rochi dall’accadimento, cercò di scaricare ogni responsabilità sul povero serpentello raffigurandolo nell’espressione del volto brutto come il diavolo e facendo intendere che mentre inseguiva il ladro della mela era inciampata andando a finire lì dove sorte aveva voluto; ma Adamo, ancora disorientato per il brusco passaggio dalle stanche braccia di Morfeo alle frenetiche gambe di Eva, null’altro interesse si trovò ad avere se non quello di approfondire quel concetto che la sua metà aveva introdotto in modo così originale e subito cercò di riformularlo in termini più semplici ed accessibili.
Si deve credere che più e più volte e per lunga pezza ognuna ancor in quel giorno, ché più del dolor poté la fame, ed in quelli a seguire si diedero reciproco piacere!
Volgaritade ascosa nello dire
Sorriso dotto fa nascer sulli volti
Di quelli avvessi al nobile sentire
E lascia persi li villani incolti.
(Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII).
Tutto filava liscio come l’olio, senza vergogna, senza pensieri e senza più dolore; tutto era iniziato come una favola e come una favola, seppur con qualche pelo di troppo, stava finendo ed il peccato non essere al loro posto era l’unica sorta di peccato che si configurava in quel contesto.
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Roma 22 Aprile 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà: Storia della Medicina magistra vitae. Ed uscirà sempre su questo sito tra sette giorni.
Capitolo V
Storia della Medicina, magistra vitae.
Riflettendo su quanto fino ad ora riportato, sembrava di trovarci davanti ad un racconto boccaccesco ed irriverente ben lungi da quanto era stato dichiarato inizialmente ed inoltre, se un evento oscuro è reso tanto più credibile quanto più carismatico è il modo con il quale viene proposto, ispirava ben poca fiducia lo scritto nostro.
A volte l’apparire l’esser confonde
Ed il falso al vero rende oltraggio
E vien creduto chi fiducia infonde
Traendo dal suo aspetto gran vantaggio.
(Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII).
Infatti da questo nulla trasudava di quella sana virilità, di quel giusto maschilismo che derivava dall’aver fatto nascere l’essere donnesco da una parte insignificante dell’uomo già pensante, ed il ruolo del Protagonista era ridotto ad un “tocca e fuggi” che, senza parole, risultava ben lungi da quella costante Presenza che del favellar Suo non poteva fare senza e poi, contro sua natura, la serpe non avea parola impura!
E dov’era il dramma di coloro che disobbedienti cercavan poi, vergognosi, a Lui di nascondere gli eventi? E dove era il pathos delle severe Divine parole che condannavano alle dure pene terrene loro e la lor futura prole?
Nulla aleggiava di quell’angoscia che il pensare ai giorni senza fine procurava e che lo scritto si era proposto di far superare.
Nulla, tutto parea continuare nella più assoluta indifferenza; accadde d’Agosto e non si mosse o cadde foglia, nemmeno quella di fico, a mascherare, come severa mutria, le espressioni del piacer scomposto ostentate su quei due corpi che il pel vestiva rado e ancor più osceni apparir li facea.
Sembrava che non fosse più possibile riportare sulla strada della drammaticità dell’esistenza umana la ricostruzione probabilistica dei fatti accaduti, iniziata con la distruzione della val di Eden ed arrivata alla sua rinascita con la presenza di Adamo ed Eva indaffarati nel piacere della carne,.
Dunque, il rigore logico ci portava a pensare che, pur essendoci immessi nella giusta direzione, ad un tratto avessimo perso l’orientamento ritrovandoci in un limbo dove la vita scorreva senza infamia e senza lode; eppure il Computer, lampeggiando sullo schermo un 99,999995% di percentuale di verità, non permetteva di dubitare sulla giustezza del percorso seguito.
Tutto bene, ed allora, ammesso e non concesso che quanto descritto rappresentasse il reale svolgimento dei fatti con Adamo ed Eva che ancora in sembianze scimmiesche nulla facevano se non darsi reciproco piacere animalesco, quando e come i due lascivi personaggi presero coscienza del loro esistere nell’Universo e ad organizzare qualcosa di più nobile e diverso? Quando insultarono con l’umore della bocca le loro immagini riflesse dall’acqua del vicino laghetto ed in quale tempo la fredda razionalità costrinse loro a coprirsi ché l’impudico calor facea difetto? Quando provarono la disperazione del sentirsi persi nel tempo senza fine? Quando e come iniziarono ad accumulare quella sofferenza lasciata poi in dote ai discendenti loro in penitenza?
Questa volta cercammo di risolvere l’enigma del “Quando” senza l’aiuto del Computer.
La soluzione che si era affacciata alla mente consisteva nell’ipotizzare che tutto avvenne quando la noia provocata dalla ripetitività dell’atto tolse intensità al piacere costringendo Adamo ed Eva a cercare di rendere più coinvolgenti i loro amplessi e nell’affrontare il problema postosi su come realizzare nuovi intrecci amorosi presero coscienza del loro esistere nel tempo infinito: “Coito ergo sum!”. Ma nello stesso tempo capirono che nel non poter continuare il godimento per tutto il tempo voluto consisteva la condanna per aver, una volta, preso posizione di natura contraria alla volontà del Padre loro.
Il computer assegnava alla soluzione da noi ipotizzata una percentuale d’accadimento dello 0,0% mettendo, però, in postilla, che il concetto espresso nel virgolettato della frase precedente avrebbe avuto elevatissime probabilità di verità se contestualizzato nell’era post industriale.
Ma l’insistere nel pensare in quale modo riuscire ad aggiustare le cose, aveva portato ad interrogarci sulla possibilità che verdi foglie di fico, ingiallite poi dall’Autunno inoltrato e casualmente cadute su Adamo ed Eva dormienti lì dove le loro differenze erano maggiormente visibili e palpabili, avessero permesso, al risveglio dei due, nella simiglianza ritrovata dei corpi, che gli sguardi non più attratti e resi libidinosi dai magneti del piacere si incrociassero tra loro compenetrandosi lievi e sereni facendo così affiorare l’intensità del sentimento amoroso che rappresenta la sublime ed eterea manifestazione del “pensar sognando” che la mente umana racchiude e sospinge a ragionar del Cielo infinito, mentre nella sofferenza provocata dalla difficoltosa corresponsione dei sentimenti stessi sarebbe consistita la pena per aver rivolto con troppa insistenza lo sguardo verso il basso e non in segno di rispetto e divozione verso il Padre loro.
Ora sì che era tutto chiaro! Era il Caos che aveva preso nuovamente a governare l’Universo ma questa volta la casualità aveva presentato una combinazione favorevole di eventi permettendo il passaggio dall’istinto bestiale all’agire sospinto dalla coscienza e così il sacrificio di verdi foglie, costrette ad ingiallire sul ramo di un albero di fico e poi, sfinite, lasciatesi cadere, aveva permesso la nascita della Storia dell’Umanità e della Medicina insieme!
Eppure la tradizione popolare attribuisce alla foglia di fico il significato negativo della vergogna e del bisogno di nascondersi, in profondo contrasto con la teoria sopra esposta che invece le assegnava il ruolo fondamentale di anello di giunzione tra i due spezzoni di catena rappresentanti rispettivamente la bestialità animale e la bestialità umana.
Per dirimere la questione non rimaneva altro da fare se non digitare nuovamente sulla tastiera del Computer per aver da lui consiglio!
Ma WWW.Fogliadifico.it , WWW.sensodicolpa.fogliadifico.eu ,
WWW. Sessoconsensodicolpa.fogliadifico.com
non portarono a nulla.
Solo quando digitammo WWW.sessosenzasensodicolpa.vogliadifico.org.asmo ,
l‘amico Computer, agganciando il sito di un “Istituto di Storia della Medicina” il giorno prima che divenisse non più accessibile perché colpevolmente cancellato in modo definitivo, e riuscendo a trovare quello che il Direttore dell’Istituto, non più presente in vita, aveva in esso digitato di un suo lavoro riguardante un rimedio curativo scoperto consultando un inedito trattato di “Scuola Salernitana” (Sec. IX), conservato nei sotterranei della biblioteca Nazionale di Firenze ed andato perduto nella tragica alluvione della città (Anno Domini MCMLXVI), il quale rimedio si riportava essere stato appreso per tradizione orale (ormai perdutasi nel tempo) originatasi da uno scritto lasciato da Ippocrate di Coo (460 a.C. – Larissa, 377 a.C.) su di una pergamena conservata nella Biblioteca di Alessandria ed insieme a questa ridotta in cenere nel vandalico rogo del “Sapere” (642 d.C.) e dello stesso venuto a conoscenza decifrando in lingua greca alcuni geroglifici incisi su di un blocco di arenaria (levigato ed in ultimo ridotto ad anonimo masso dalla sabbia trasportata dal vento del deserto) da un medico egizio che affermava esserne stato edotto dalle parole che gli erano state bisbigliate all’orecchio da un dottore della legge divina appartenente alla tribù di Giuda durante la prigionia del popolo eletto nella terra delle piramidi (periodo compreso nel tempo del regno dei Faraoni della XVIII dinastia), fece a noi comprendere quanto ci eravamo allontanati dalla retta via probabilistica ed invece addentrati nella selva oscura dell’inconcludente filosofeggiare.
In quel trattato era infatti descritto come la foglia di fico fosse stata utilizzata da Adamo ed Eva, e da loro per primi, unicamente nella terapia antinfiammatoria ed antidolorifica: veniva pressata con una sola mano sulle parti intime frontali per lenire il bruciore indescrivibile che il loro reciproco troppo frequente e prolungato sfregamento in esse provocava!
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Roma 29 Aprile 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà:La discesa in campo della Scienza. Ed uscirà sempre su questo sito tra sette giorni.
Capitolo VI
La discesa in campo della Scienza.
Se volevamo risolvere il fondamentale quesito affacciatosi nel capitolo precedente, bisognava abbandonare ipotesi troppo fantasiose e riprendere ad applicare i collaudati metodi di ricerca probabilistica ragion per la quale, con ritrovato ardore scientifico, ci mettemmo all’opera tesi a ricercare la causa che aveva determinato la devianza dalla prassi comportamentale di Adamo ed Eva ed il conseguente insorgere in loro dei primi sintomi di virtù.
Eravamo convinti che l’individuazione di quell’evento avrebbe dimostrato inequivocabilmente la giustezza dell’iter seguito dalla nostra indagine tendente, ora, alla ricerca della Bontà divina essendo stata definitivamente accertata, “al di là di ogni ragionevole dubbio“, l’esistenza dell’Onnipotente.
Se fosse risultato che il passaggio bestialità-umanità non si dovesse attribuire ad una combinazione di accidenti (tra le infinite proposte dal Caos) rivelatasi favorevole alla congiuntura ma ad un’amorevole attenzione dell’Onnipotente, allora si sarebbe compreso che il Re dei Cieli non aveva abbandonato i Suoi figli ed un giorno li avrebbe ripresi con Sé scacciando dalle loro menti pensieri maligni ed il ricordo del tempo senza fine.
In sintesi, dovevamo dare risposta all’inquietante interrogativo: come potevano Adamo ed Eva, scimmie spensierate, essere i progenitori dell’umanità pensierosa?
Le riflessioni sulla questione furono numerose tante quante gli smarrimenti ma finalmente, dopo insistenti digitazioni sulla tastiera, il Computer comunicò di essere giunto ad una conclusione non univoca ma che, sconvolgente per la sua semplicità, si riduceva a due soli casi legati all’ormai acquisita esistenza di Nostro Signore, e quindi bisognava attenderci che: o all’improvviso, era sceso dall’alto dei Cieli l’intervento miracolistico atto a dotare di anima Adamo ed Eva affinché potessero operare guidati dalla ragione e scegliere consapevolmente tra il bene ed il male, oppure in essi stessi era presente il “motore”, donato dall’Immenso, capace di far funzionare il meccanismo del pensiero razionale non appena una circostanza ineluttabile fosse stata in grado di avviarlo.
Il primo caso proponeva l’accettazione di una verità fideistica alla quale si doveva credere incondizionatamente: o così o la perdizione eterna; invece, il secondo caso non era privo di un qual certo interesse nel riferirsi al motore virtuale (che tanta curiosità stava destando nell’amico Computer) che dava alla Scienza la possibilità di intervenire per portare nuovi dati utili alla conoscenza dell’evento.
Ed allora si presentasse la Scienza, da noi primieramente invocata, e scendesse in campo ad aiutarci!
Ma che cosa è realmente la Scienza?
La Scienza è il Sapere che sa senza bisogno di dover conoscere, è il Sapere supremo, la Verità assoluta, lo Splendore che illumina e che non può essere illuminato non esistendo luce più intensa della Sua.
E’, e così E’ senza ombra di dubbio!
Altra cosa, invece, sono le Scienze nella pluralità delle quali si racchiude la conoscenza dell’Universo che l’Umanità è riuscita ad acquisire nel corso della sua travagliata esistenza e che sempre nuove scoperte arricchiscono ed avvicinano al Sapere Divino.
Gli esseri umani, oltre alla primaria esigenza di ricercare la felicità che risiede in maniera quanto mai trasgressiva nei sette peccati capitali *, sono anche portati a soffermarsi, sgomenti, sulle ragioni della loro presenza nell’immensità dell’Universo ed a cercare risposte spingendosi faticosamente sempre più avanti nello studio della composizione della materia, della formazione degli organismi viventi ed a ricercare nel labirinto della mente Colui che non è materia, Colui che non è vita terrena.
Di conseguenza, tre risultano essere le Scienze fondamentali: quella riguardante la materia, quella riguardante l’essere vitale e quella relativa al pensiero filosofico create dall’Umanità imperfetta come strumento per avvicinarsi alla Causa Primaria che mai potrà raggiungere.
Imperfetto che dall’imperfetto figlia
Perfesione di raggiunger non permette
E chi posision dello contrario piglia
Nel primo cade delli peccati sette.
Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII.
Ogni essere razionale non riesce a comprendere nella sua mente tutte le conoscenze acquisite dall’Umanità ma solo una parte infinitesima di esse e da queste sue poche progredisce, per quello che può, nella direzione da lui ritenuta più giusta; vengono così a crearsi numerosi indirizzi o branche di studio che, con sempre nuove aggiunte, si ramificano e s’intersecano all’interno e tra le Scienze fondamentali.
Per tanto, non alla Scienza dovevamo affidarci ma alle Scienze e quindi alla conoscenza acquisita per poi cercare di spostare in avanti il suo limite fino ad inglobare in esso la Verità probabilistica.
Con il suo argomentare, il Computer ci aveva portato dinnanzi alla complessità dello scibile umano lasciandoci senza parole, come pietrificati, ma per fortuna Nonna ci aveva indicato la via da seguire per allontanarci dalle nostre pene ed allora, con sicurezza, volgemmo l’attenzione verso le Scienze sociologiche ed in particolare verso la “Scienza della Comportamentologia Evoluzionistica Teoretica Pratica“ che già nella titolazione sembrava poterci venire in soccorso ma, purtroppo, ben presto ci si accorgeva che quella branca del sapere permetteva di conseguire risultati plausibili solo nell’ambito di insiemi composti da:
F = {2 x (f + m) + 1}
individui (dovendosi intendere con “f” il numero dei soggetti femminili, con “m” quello dei soggetti maschili, (con f ≥ m), e con il numero uno a rappresentare il soggetto di diversità) e quindi non poteva prendere in considerazione il caso di Adamo ed Eva che due soli, erano.
Nemmeno variando le condizioni al contorno o facendo ipotesi semplificative si otteneva qualche risultato e così, dopo ulteriori tentativi compiuti sempre nell’ambito dello stesso campo di ricerca, fummo costretti ad abbandonare la via delle Scienze sociologiche.
Era evidente che la causa dell’insuccesso risiedeva in una nostra errata valutazione del significato connesso al porgersi della figura di nonna Bice in quel contesto notturno, perché lei, per l’interessamento amorevole che aveva mostrato nel cercare di risolvere i nostri problemi, mai avrebbe potuto fornirci un’indicazione sbagliata.
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* I peccati capitali risultano essere rimasti ancora sette ed in ordine decrescente di empietà sono: Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira ed Accidia.
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Roma 6 Maggio 2018
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Capitolo VII
Soli senz’anima.
Quando Nonna ci apparve, l’evento fu così improvviso e tanto grande la meraviglia destata da indurci a vedere in lei l’angelo disceso dal cielo a significare l’imminente fine dei nostri impuri tormenti ma poi, superato quel primo smarrimento interpretativo e ripensando alla sua immagine, ci era sembrato scorgere, nel braccio destro gentilmente rivolto verso il basso e con l’indice della mano non teso ad ammonire ma amorevolmente piegato, l’invito accorato a varcare la soglia di quella fredda stanza di solitudine offesa per correre verso le genti e ritrovare in esse l’impronta del Creatore, tuttavia il percorso di Verità ricercato nel sociale non aveva permesso di giungere ad esiti favorevoli.
Per quanto sopra riportato, risultava evidente che avevamo attribuito un significato puramente simbolico alla direzione offertaci da Nonna nel suo porsi, un invito a pensare ed agire oltre le umane miserie e questo intendere era stato fondamentale per dare inizio della nostra ricerca di serenità nel Vero, mentre nel proseguo, dovendoci affidare alle Scienze, dovevamo capire cosa concretamente Beatrice avesse voluto indicarci in modo da avere una base certa dalla quale riprendere a salire verso la Conoscenza.
Solo alla Divina Provvidenza è concesso di utilizzare la tecnologia del digitale celeste e riportare immagini e parole inequivocabili sullo schermo del cielo così come avvenne prima della battaglia tra Costantino e Massenzio (Ponte Milvio, Roma – 28 Ottobre 312 dC) quando apparve, sotto il simbolo della croce, la dicitura “In hoc signo vinces”.
Disgraziatamente, Nonna non era lo Spirito Santo né tanto meno noi risultavamo elevati al rango di imperatore e quindi, nel comunicare tra noi per la trasmissione e ricezione di quell’unico dato di salvezza, eravamo stati costretti ad utilizzare l’obsoleto e meno preciso sistema analogico che, data la rapidità dell’evento e gli inevitabili fenomeni di parallasse, ci aveva senz’altro indotto a compiere un errore di lettura nell’apprezzare la direzione rilevata dall’indice di Nonna e dove quella andasse ad impattare.
Una strada da seguire per risolvere il problema, ci era sembrata essere quella d’invocare Nonna Beatrice perché scendesse nuovamente vicino a noi per poi invitarla a mostrare, in modo più esplicito e con più calma, cosa avesse voluto significarci ma, potendo questa richiesta risultare offensiva nei suoi confronti se percepita come dettata non da una nostra mala comprensione ma da un suo essersi ambiguamente espressa, il pensiero rivolto a Nonna si limitò ad esplicitarsi in forme ed in parole di sola e sincera gratitudine per tutto quello che aveva fatto per noi.
Sì, Nonna santa aveva fatto tanto per aiutarci e noi non dovevamo deluderla ma, nonostante gli sforzi e la buona volontà, proprio non riuscivamo ad afferrare che cosa avesse cercato di dirci quando il Computer suggerì l’idea di ricostruire lo scenario dell’evento e rilevare da più angolazioni in quale punto della stanza o su quale oggetto in essa presente impattasse la retta passante per il dito di Nonna che ci era apparsa solamente come immagine e che bisognava riportare in forma tridimensionale.
Purtroppo, nel pietoso segno di benevolenza l’indice della Nonna era leggermente ricurvo e quindi non una ma più rette potevano pensarsi passare per esso e solo grazie all’interpolazione dei dati acquisiti si manifestò evidente il convergere della risultante delle loro direzioni su quella rivista di “arte fotografica” che spuntava da sotto il letto.
La rivista era aperta alla pagina centrale e sui tre fogli che la componevano era riportata l’immagine di una donna: non aveva veli, era seduta sull’erba di un prato fiorito, le mani poggiate all’indietro a sostenere il busto e le gambe distese in avanti con ai suoi piedi, su di una tovaglia bianca, un cesto di vimini colmo di gustose primizie. Una colazione sull’erba di primavera!
Accanto a lei non c’erano uomini né ignudi né scandalosamente vestiti alla francese *, sola, il bel volto dai tratti decisi, la serenità dello sguardo, i capelli lunghi leggermente ondulati, i seni prosperosi, i fianchi opimi ed il posare aggraziato che sottraea alla vista quel che di lei facea dimonio, ispirava il sentimento dell’amor gentile e madre intender si lasciava!
Questa volta non c’erano dubbi, Nonna voleva suggerirci l’idea di prendere in considerazione ciò che il frutto amoroso della carnal concupiscenza racchiude in sé e, la qual cosa fatta, ben presto sorse spontanea la domanda: se è palese che la vita, insofferente di rimanere troppo a lungo in uno stesso posto, si allontana di continuo verso nuovi approdi portando con sé il ricordo dei luoghi lasciati, od, in altri termini, che la vita fluisce dai genitori ai figli trasferendo le caratteristiche genetiche dei primi nei secondi così come la legge di natura impone, quali caratteri ereditari Adamo ed Eva potevano aver ricevuto dai loro genitori?
Dopo un lungo riflettere, ci ricordammo degli appunti presi durante le lezioni di “Fondamenti di genetica metafisica” tenute “extra moenia” da un ricercatore universitario precario ostacolato nei suoi lavori a causa delle idee professate in contrasto con quelle della cultura scientifica ufficiale e sopra tutto per non poter vantare i quarti di nobiltà necessari per figurare nell’albero genealogico di qualche “Barone” cattedratico e tali da permettergli di essere inserito a pieno titolo nella struttura accademica. .
Non esisteva libro di testo né dispense per la materia sopra riportata e l’aula nella quale si svolgeva il corso aveva visto, sin dalla prima lezione, la sola nostra presenza.
All’inizio della terza lezione, mentre il Maestro stava spiegando le combinazioni genetiche avvenute e per le quali dalla giusta unione tra Issone ed una nube, che inizialmente aveva assunto le sembianze di Giunone, erano nati i centauri, mostri mezzi uomini e mezzi cavalli scalpitanti, venne a mancare per un improvviso malore.
Riprendendo a leggere quegli appunti da tanto tempo dimenticati, subito ci accorgemmo dell’attualità del tema in essi affrontato e senza indugio ci mettemmo ad elaborarli proseguendo nello studio della materia lungo il solco tracciato dal Maestro e supportati dall’indispensabile aiuto del nostro amico Computer.
Nell’addottrinarci riguardo ai frutti dei più impensabili divini con terreni accoppiamenti ed ai temerari assemblaggi di umane con animalesche parti, risultava di chiarissima evidenza che dal contributo genetico materno derivava l’aspetto ed il comportamento scimmiesco di Adamo ed Eva, mentre potevamo solo ipotizzare che l’apporto Paterno, il dono del motore virtuale, dovesse consistere in una infusione della Sua spiritualità a livello embrionale che si sarebbe sviluppata in seguito ad un accadimento straordinario e nel tempo li avrebbe portati ad agire razionalmente.
Ma riguardo a quest’ultima eventualità, ben presto ci si accorgeva che lo Spirito Eterno e Bontà Infinita, non avrebbe mai potuto presentarsi e rimanere in un corpo di natura animale; risulta infatti evidente l’incompatibilità tra l’Essenza Divina e la carnalità bestiale ed in effetti questo matrimonio, se così si può scrivere, non sarebbe stato proponibile celebrarlo nemmeno con nozze morganatiche: era praticamente impossibile.
Il Re dell’Universo, che viene percepito come l’Essere legato indissolubilmente al concetto di infinito, non poteva in alcun modo rinchiudersi in spazi angusti, perituri ed ostili alla Sua natura!
Solo se Adamo ed Eva avessero avuto coscienza dei propri limiti nell’immensità dell’Universo avrebbero potuto accogliere e trattenere in loro l’essenza del Padre per poi elevarla di nuovo a Lui, perché, con quel presupposto, sarebbe esistito in loro l’elemento necessario per mediare tra carne e Spirito Divino.
Ma Adamo ed Eva, dal momento del concepimento fino alla loro nascita, non potevano aver ricevuto nulla di Celestiale mancando le condizioni di accoglimento riportate nelle righe precedenti ma nemmeno in età puerile forme eteree sarebbero state in grado di compenetrarsi in loro perché Lilith, essendo di discendenze totalmente scimmiesche, non aveva avuto la capacità di portarli a pensare, a ragionare e ad avvicinarli al Verbo.
Stante le premesse, la conclusione sull’impossibilità di coesistenza tra divino ed essere animale alla quale era giunto il Computer risultava di un rigore logico inoppugnabile.
Ebbene sì, potevamo affermare che Adamo ed Eva avevano l’aspetto di scimmie ed erano privi di anima!
Come anatroccoli che dopo la schiusa delle uova inseguono i primi passi incontrati e fiduciosi si lasciano guidare dove non sanno così Adamo ed Eva ricalcavano confusi le orme dell’esistenza attratti lieti da una vita senza domande!
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* Una donna nuda ritratta insieme a degli uomini vestiti, nel quadro “Colazione sull’erba” del pittore impressionista francese Edouard Manet (1832-1883) destò, all’epoca, molto scandalo.
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Roma 13 Maggio 2018
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Non perdete il prossimo Capitolo che si intitolerà: La torre di Babele. Ed uscirà sempre su questo sito tra sette giorni.
Si chiede scusa per il ritardo, dovuto a motivi tecnici, con il quale viene inserito il Capitolo VIII.
Capitolo VIII
La torre di Babele.
Erano sconvolgenti le conclusioni alle quali si era arrivati analizzando la natura di Adamo ed Eva ma dovevamo accettarle rinunciando alle nostre convinzioni ed al nostro credo perché tutto questo esigeva la dura legge della ricerca scientifica avendo noi questa scelta come mallevadrice per il raggiungimento della Verità.
Ma una più serena valutazione dei risultati ottenuti, che solo il Computer dalla sua posizione super partes poteva fornire, rendeva del tutto immotivato il nostro turbamento infatti l’onnipotenza benevola del Padre dei Cieli non veniva assolutamente messa in discussione, si era solamente scartata l’ipotesi di un Suo intervento invasivo e permanente nei corpi di Adamo ed Eva senza in alcun modo pregiudicare un Suo coinvolgimento nel passaggio dal vivere alla consapevolezza dell’essere ed allora, dovendosi escludere il primo dei due casi antecedentemente considerati (Cap. VI), e stante il “principio di esclusione”, si erano venute a determinare le condizioni necessarie e sufficienti per l’ammissibilità del secondo che recitava: “in essi stessi era presente il motore, donato dall’Immenso e capace di far funzionare il meccanismo del pensiero razionale non appena una circostanza ineluttabile fosse stata in grado di avviarlo”.
Non l’anima, quindi, avevano potuto accogliere in loro Adamo ed Eva ma ricevere in dono dall’Essere Supremo, all’atto del concepimento, l’elemento capace di portarli verso il pensiero razionale che l’umanità avrebbe poi sviluppato fino a giungere a riconoscersi in Lui nel gaudio infinito: un dono a dimostrazione dell’amore senza tempo che l’Onnipotente nutriva verso i suoi figli!
Ma quale poteva essere questo dono?
Avevamo iniziato la ricerca pensando di affidarci di nuovo, e come sempre, alle capacità elaborative del Computer ma questa volta, e con nostro grande stupore, l’Amico virtuale risultava poco collaborativo sembrando non condividere la nostra impostazione verso la quale, in effetti, lui stesso ci aveva guidato; eppure era così evidente che se la Sua discesa non si era manifestata come permanenza, una traccia doveva comunque aver lasciato così come avviene in seguito ad ogni azione esercitata in natura.
Incredibile! Proprio quando un solo ed ultimo tratto del faticoso cammino mancava per raggiungere la soglia della Verità incominciavano a sorgere divergenze sul come proseguire!
Noi coinvolti, stavamo assistendo al confrontarsi tra la fredda logica e lo spirito creativo e nella disputa l’orgoglio portava all’irrigidirsi di ognuno sulle proprie posizioni e poi, nel cercare di confondere l’antagonista per riuscire a dominarlo, il linguaggio diveniva sempre più articolato e reso complesso dall’introduzione di astrusi neologismi e contorsioni dialettiche impregnate di sofismi inconcludenti: lentamente l’idioma unico, a fatica raggiunto, riprendeva a diversificarsi ed il comunicare a divenire sempre più difficoltoso e la strada che doveva portare verso la Verità tendere a biforcarsi per richiudersi su sé stessa.
Antico Testo riporta circa le catastrofiche conseguenze dovute allo sconvolgimento linguistico derivante a sua volta dalla maledizione pronunciata dall’Onnipotente verso l’Umanità sacrilega che aveva cercato di raggiungerLo ponendo mattone su mattone ma dal momento che noi volevamo solo trovare il segno dell’Amore Divino tramite logica ed intuizione e per questo nulla di offensivo verso l’Altissimo potendosi riscontrare nell’opera nostra, ci sentivamo sollevati dal temere conseguenze irreparabili che avrebbero portato alle infernali eterne pene, anzi, sentendoci come sospinti dal benedicente contesto celestiale nel quale si stava agendo, eravamo certi che le divergenze insorte sulla direzione da prendere si sarebbero rapidamente appianate permettendo di raggiungere, in una concordia ritrovata, il fine agognato; il nostro attardarsi in quell’inutile contenzioso avrebbe potuto recare oltraggio solo al tempo, ma lui tutto accetta nella sua presunta infinità!
Anche il Computer si era convinto di riuscire a traguardare una rapida intesa, infatti, partendo dall’assunto che impossibile è mediare in presenza di convinzioni che la fede mistica o l’ideologia viscerale hanno tramutano in certezze, constatando la diversità del caso nostro, e potendosi affermare che tutto ciò che è diverso dall’impossibile porta ad una soluzione, non vi erano dubbi che lo scontro di idee si sarebbe volto nel confronto tra le stesse recando un arricchimento delle reciproche conoscenze da spendere insieme lungo il rimanente percorso di Verità
Comunque, nella pausa di riflessione necessaria per riguadagnare l’intesa perduta, che pur nella diversità dei ruoli tanto fruttuosa si era dimostrata, venimmo tentati dal proseguire da soli nel superamento dell’ultimo ostacolo che ci separava dalla Verità probabilistica.
Forte ci afferrò la tentazione ed alla fine non potemmo resisterle!
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Roma 25 Maggio 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà: Evoluzionismo e determinismo. Ed uscirà sempre su questo sito Domenica 27 Maggio.
Capitolo IX
Evoluzionismo e determinismo.
Secondo noi, per risolvere il problema del dono divino bisognava soffermarci a valutare con maggiore attenzione la parte affidata a Lilith nel passaggio dalla commedia ante umana a quella post bestiale poiché Lilith era stata la prima creatura a venir scelta (seppur senza angelico preavviso) dall’Onnipotente per realizzare la Sua fugace introduzione nel mondo che era divenuto preda del Caos.
Oh! Lilith, Lilith! I tuoi verdi anni! Beltà splendea sul tuo volto primate ma mai le tue labbra altre labbra poteron baciare in giochi amorosi. Nel giardino dell’Eden, nessuno, d’amor corrisposto, avrebbe seguito i tuoi passi per raggiungerti e stringerti a sé, nessuno avrebbe lottato per averti! Non dolci ricordi né rimpianti il tempo donava e rimaneva immobile ad osservare la tua solitudine. Oh Lilith, Lilith! Cos’era stata la primavera della vita per te!
Cercando di sottrarci al coinvolgimento emotivo che il pensiero rivolto a quel tempo lontano provocava, a fatica ritornammo a prendere in esame gli accadimenti dal punto di vista scientifico.
Dunque, si poteva affermare che l’evoluzione della Specie aveva raggiunto nelle scimmie dal pollice opponibile, alla genia delle quali Lilith apparteneva, l’apice del suo divenire dal momento che in esse si riscontrava il migliore dei compromessi possibili tra formazione e dimensionamento delle parti per l’adattamento e riproduzione nel contesto avio – terraqueo, un compromesso perfettibile dal punto di vista estetico ma comunque il migliore possibile per degli esseri allo stato animale tanto che la struttura fisica e la funzionalità organica dei loro corpi per nulla differivano da quelle presenti negli esseri umani ed infatti si era prodotto il risultato finale che il pollice, e non più l’alluce, opponibile predisponeva verso le migliori condizioni per l’esercizio delle attività culturali offrendo ai loro discendenti raziocinanti la possibilità, per esempio, di scrivere con le virtuose mani anziché con i piedi!
Considerando il processo evolutivo dell’essere animale, risultava chiaro e conclamato che le mutazioni genetiche di un individuo, trasmesse poi alle generazioni successive, erano da attribuirsi al variare di condizioni ambientali, all’istinto di sopravvivenza all’interno della propria specie e nei confronti di altre diverse, alla intensità della pulsione riproduttiva ed a eventi dovuti al caso.
Inoltre, nel tempo critico della ragion assente, l’agire di ogni individuo era determinato dall’istinto guidato sia dall’esperienza acquisita nel contesto della comunità di appartenenza sia da quella ricavata nel corso della vita da situazioni di pericolo che avevano fortunosamente lasciato continuare a vivere oppure da circostanze che avevano prodotto esiti favorevoli.
Le congiunture riportate avevano permesso il passaggio dalla cellula primordiale, ovvero dall’”Unicum”, al “Corpus” espressione delle “Parti” ed in fine, dallo sviluppo in organizzazione mutualistica di queste, al “Corpus Lilithianum”
Si giungeva così all’apparire del “Corpus Lilithianum” nel quale venivano ad identificarsi i primati appartenenti alla famiglia delle scimmie “dal pollice opponibile” tra le quali avevamo fatto assurgere a simbolo rappresentativo Lilith in quanto ultima loro discendente e potevamo concludere affermando che la natura aveva espresso nel “Corpus Lilithianum” tutta la sua potenzialità evolutiva raggiungendo i limiti estremi della funzionalità utilitaristica dell’essere privo di razionalità.
Dopo quanto in breve sintesi evidenziato, non rimaneva altro da fare se non analizzare il rapporto instauratosi tra Lilith e l’ambiente che la circondava sicuri che, per sviluppo logico, saremmo riusciti a comprendere le modalità di attuazione del volere Divino e conseguentemente la natura del Suo dono.
Lilith era venuta a trovarsi, senza suoi simili accanto, sul pianeta che la Luna ha compagna ed in particolare nel lembo di quello indicato con il nome di val d’Eden dove, in un clima costantemente benigno, né al freddo pungente né al caldo soffocante era permesso di abbrutire il corpo nella sofferenza arrecata, il cibo presente in abbondanza rendeva sconosciuti i morsi della fame che tormentano chi ne è oggetto e lo inducono all’aggressività, inoltre, nell’assenza di malvagi predatori, parimenti sconosciuto era sia il timore che rende l’incedere sospettoso sia il terrore che spinge ad un affannoso sottrarsi chi è divenuto preda.
Nel contesto descritto, l’attenuazione degli stimoli sensitivi legati alla sopravvivenza ed il vago sentire quella pulsione di piacere che la solitudine non permetteva di esplicitare compiutamente evitando allo sguardo di divenire cupo ed alla mente di intorbidirsi, determinavano congiunzioni favorevoli tali da elevare lo stato animalesco di Lilith verso un livello di serenità che rimaneva tuttavia sospeso tra l’istinto e la ragione dal momento che la natura non era più in grado, con le sue uniche forze, di fornire la spinta necessaria per fare ad essa superare la soglia oltre la quale si trova la coscienza del vivere.
La natura tendeva la pargoletta Lilith al Cielo e sembrava chiedere aiuto alla sua profondità infinita affinché almeno la più armoniosa composizione di vita che era riuscita ad esprimere, Lilith appunto, potesse venir trascinata fuori dal quel mondo dominato dalla brutale fisicità.
Il Re dell’Universo non rimase insensibile al grido di dolore che verso di Lui si levava e, constatando l’esistenza di condizioni favorevoli ad un Suo intervento ovvero l’esistenza di quello stato di levitazione verso il sopranaturale che predisponeva a ricevere la Sua presenza, si attivò per eleggere Lilith a ricoprire il fondamentale ruolo di madre del genere umano.
Tutto bene però a questo punto, riprendendo a considerare che ogni accadimento nel mondo reale lascia una traccia, si poneva l’interrogativo se anche in Lilith fosse rimasta un’orma, un dono, della discesa Divina attivatrice di conoscenza.
La risposta non poteva che risultare negativa infatti, ripercorrendo la storia della breve vita di Lilith, si riscontrava che l’equilibrio psico-fisico in essa raggiunto non aveva subito mai alcuna variazione tanto è vero che rimase sempre priva del ben dell’intelletto.
Ed ancora, ammettendo per ipotesi assurda che l’Onnipotente avesse impresso in Lilith un Suo permanente segno, a quel punto avrebbe raggiunto il Suo scopo di elevazione dell’essere animale verso la spiritualità e tanto sarebbe bastato senza dover ricorrere alle prevedibili complicazioni derivanti dalla nascita di Adamo ed Eva, ma così operando ci saremmo trovati di fronte ad un essere sì primo rappresentante sulla terra del genere sapiens ma solitario e senza futuro; infatti se a Lilith fosse stato concesso di passare dalla bestialità all’orrore per la bestialità, ella, e non più essa, avrebbe raggiunto uno stato di quiete spirituale simile a quello presente in condizioni di clausura con la variante che alla cella spoglia di tentazioni sarebbe venuta a sostituirsi la val di Eden con la sua nudità innocente ma, questo stato di estasi sarebbe finito insieme al terminare dell’esistenza di lei venendo così ad interrompersi il fluire del Divino Disegno.
Questo errore non poteva venir commesso dalla Saggezza Divina stante la Sua infallibilità!
Ed allora? Fu vera orma?
La soluzione al quesito posto ci venne fornita dalle Scienze Naturali e Biologiche mediante un ulteriore ed approfondito loro studio.
Risultava con evidenza che così come una madre trasferisce alle creature da lei concepite i caratteri paterni senza trattenerne in lei alcuno, parimenti, dopo la nascita di Adamo ed Eva in Lilith non rimase più alcun segno della presenza del Padre Onnipotente.
Quindi l’intervento del Massimo Fattore ebbe carattere di contatto subitaneo (come precedentemente rilevato insieme all’amico Computer) che senza sconvolgere le leggi della natura da Lui Stesso dettate non impresse diretta Sua orma in Lilith ma affidò ad essa l’arduo compito di trascrivere nella struttura genetica di Adamo ed Eva i caratteri dell’Essenza Divina lasciata percepire nell’attimo fuggente.
Nuovi dati ora arricchivano il nostro bagaglio di conoscenza!
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Roma 27 Maggio 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà:Anatomia comparata. Ed uscirà sempre su questo sito tra quattordici giorni.
Capitolo X
Anatomia comparata.
Definito il ruolo di imprescindibile mediazione svolto da Lilith per l’attivazione della vicenda umana, potevamo addentrarci a scoprire l’elemento che avrebbe portato Adamo ed Eva a divenire i primi pensatori dell’Universo.
Le caratteristiche genetiche della madre trasmesse ad Adamo ed Eva facevano loro trovare posizionati sull’ultimo gradino della scala poggiata al balcone della razionalità mentre quelle Paterne, affidate a Lilith nell’istante del concepimento e riversate nei figli, non si manifestavano evidenti.
Comunque, l’impulso impresso dalla Bontà Celeste, che avrebbe reso Adamo ed Eva coscienti della loro diversità rispetto al mondo animale, (tanto che in epoche successive l’umanità si sarebbe rifiutata sdegnosamente di accettare una sua discendenza scimmiesca) non poteva, per conseguenza logica, che aver prodotto mutamenti di natura genetica ma tali da non modificare in alcun modo la struttura e la funzionalità dei loro corpi, altrimenti un’ulteriore aggiunta o modificazioni di parti avrebbe determinato uno sconvolgimento dell’equilibrio evoluzionistico tanto faticosamente raggiunto, con conseguente regressione a livelli sub Lilithiani.
Or bene, se il dono prodotto dalla volontà dell’Onnipotente non doveva influire sulla funzionalità dei corpi volta alla sopravvivenza ed alla riproduzione, allora, per necessità doveva riguardare la qualità dell’essere.
Dunque, bisognava ricercare un elemento di natura corporea ma che si ponesse in contrapposizione alla sua stessa natura, quasi a negarla, per offrirsi come simbolo di superamento della condizione animale e si richiamasse alla purezza dello Spirito Divino.
Riflettendo sull’argomento, ci si poteva chiedere in quale parte del corpo si dovesse ricercare il dono Divino e se questo si presentasse in forma diversa, seppure di medesima natura, in Adamo ed Eva adeguandosi alla diversità dei loro generi maschile e femminile.
Gli interrogativi ultimi formulati portavano l’indagine a focalizzarsi sull’ambito della sfera sessuale.
Premesso che nel mondo animale l’istinto concupiscente risulta irrefrenabile portando in sé il germe del peccato che impedisce al pensiero di elevarsi a coscienza, allora lì dove il Maligno manifestava tutta la sua superbia, lì dove aveva posto la sua dimora prediletta, proprio lì dove ostacolava la presenza della Virtù, l’Onnipotente pose, a severo monito per richiamar purezza, un freno ed una barriera.
VERGINITA’, dunque, fu il dono che la Misericordia Divina offrì ad Adamo ed Eva per affrancarli dalla condizione animale e portali a seguir virtute e conoscenza, condizioni necessarie e sufficienti per essere accolti , post mortem, al Suo cospetto e poterLo contemplare nel Sommo Gaudio che distoglie la mente dal pensare al tempo infinito!
“ … i loro sguardi si incrociarono ma questa volta rimasero l’un l’altro a specchiarsi seppur per breve tempo perché il disagio che la concupiscenza, nella diversità vissuta, riflessa negli occhi faceva loro provare, non permetteva di continuare oltre.
Tanto bastò che, improvvisamente, in Adamo ed Eva il pensiero si rivolgesse ai momenti felici della fanciullezza quando l’innocenza riportava solo immagini limpide di loro sereni.
Riavvolgendo nel tempo i ricordi, tornò alla mente il momento della loro prima volta quando travolsero quegli ostacoli a difesa della virtù posti e conobbero il piacer carnale del quale, in quel momento, sentivano di provarne vergogna.
Si resero conto che avevano reso guasto quel dono, da un Essere Superiore loro offerto, che cercava di tenere separati l’innocenza dalla concupiscenza.
Ma ormai non potevano più tornare indietro e nel pentimento incominciarono a ragionare sull’errore compiuto, del tempo infinito che non si poteva fermare, del bene e del male, d’amor sacro e d’amor profano avvicinandosi, ora di libero arbitrio dotati, a Colui che nella Sua Bontà avrebbe ripreso loro ed i loro discendenti nel Suo Regno senza tempo!”
Più o meno le cose dovevano essere andate nel modo descritto nel virgolettato ma senza indagare ulteriormente sulla vicenda perché convinti di aver raggiunto la certezza dell’Amore universale senza tempo dell’Onnipotente verso i suoi figli ed i loro discendenti, ci accingemmo a far partecipe l’amico Computer della nostra felicità per l’eccezionale risultato ottenuto e gli comunicammo, in uno stato di eccitazione che ci faceva premere con forza le dita sui suoi tasti, quale dovesse considerarsi il dono Divino.
Dopo un’attesa per noi interminabile, il Computer iniziò a comunicare scrivendo, su sfondo del color della mestizia:
– La verginità è inizialmente presente in tutte le femmine dei vertebrati appartenenti alla classe dei mammiferi, così che la topolina come l‘elefantessa sono vergini ed anche Lilith lo era, inoltre, nei maschi … – .
Seguitare a legger quello scritto non potemmo ché alle prime parole noi venimmo meno così come noi morissimo, e cademmo come corpo morto cade. (Riadattamento da: Dante Alighieri – Divina Commedia- Inferno V, 141-142)
Quando ci risollevammo e tornammo in noi, nullità ci sentimmo a nulla essendo giunti.
Traditi, ingannati, oggetto d’inevitabile derisione da parte di coloro che avevamo creduto nostri amici, il cupio dissolvi si stava impadronendo di noi quando il Computer venne a rassicurarci argomentando sulla giustezza dell’operare suo, di quello di Nonna Bice e della validità delle rime di Sighinulfo da Modena che insieme e volutamente ci avevano portato verso il Nulla perché solo nel volgere la nostra indagine al Nulla avremmo trovato la Verità probabilistica cercata.
Soffermarsi a ricercare il Vero nelle miserie del Tutto non avrebbe prodotto nulla, solo rivolgendo l’attenzione alle problematiche del Nulla avremmo potuto avvicinarci a conoscere la vera armonia del Tutto!
I dati che la conoscenza umana aveva acquisito fino ad allora indirizzavano lungo una strada senza sbocco e non dovevamo insistere a percorrerla nella speranza di venirne fuori ma dovevamo incamminarci verso l’orizzonte che il Nulla ci schiudeva.
A volte, nel cercare cosa presiosa
Altra sen trova per dignità maggiore
Ma la mente sulla prima sempre posa
Non cogliendo della nova lo valore.
(Dal trattato “Psicologia delle masse” di Sighinulfo da Modena sec. XII.)
Così rinfrancati, chiedemmo all’Amico se poteva aiutarci nell’affrontare l’ardua problematica del Nulla, ma egli rispose che non aveva dati relativi al Nulla da poter elaborare e quindi non sarebbe stato in grado di dare alcun tipo di risposta a quesiti eventualmente formulati e solo quando gli avessimo fornito nuovi elementi di conoscenza avrebbe potuto collaborare.
Da soli fummo costretti ad addentrarci nel Nulla dove nulla esiste!
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Roma, 10 Giugno 2018
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Non perdete il prossimo capitolo che si intitolerà: il Nulla. Ed uscirà sempre su questo sito tra quattordici giorni.
Intervallo
Solitudine
Capitolo XI
Il Nulla.
Nonna Bice, il Computer e Sighinulfo da Modena ci avevano portato sul limitare del Nulla ed invitavano noi a proseguire da soli non avendo loro possibilità alcuna di aiutarci ulteriormente.
Ma se il pensiero rivolto al tempo senza fine aveva determinato uno stato di profonda angoscia, il Nulla senza più nulla, dove anche noi ci saremmo annullati senza nemmeno avere il conforto di noi stessi, incuteva un senso di panico paralizzante che ci faceva rimanere avvinghiati alla realtà impedendo di spingerci verso l’ignoto.
Comunque bisognava proseguire nel cammino!
Ed allora: cosa poteva rappresentare il Nulla?
— Viene da dire che il Nulla è il non essere ma poi, riflettendo, ci si accorge che non vi può essere un qualcosa che non esiste, ovvero che è impossibile esistere e non esistere nello stesso tempo.
Il pensiero umano percepisce il Nulla ma non riesce a spiegarlo per la semplice ragione che non è in grado di conoscerlo ed alla conoscenza si giunge solo attraverso i sensi ed il Nulla si nega ai sensi perché nulla ha da offrire ad essi.
Non si riesce a pensare il Nulla come entità autonoma ma sempre in associazione all’Essere e come negazione di questo, per la qual cosa siamo costretti a scrivere, ponendoci in contraddizione con quanto precedentemente affermato, che il Nulla non è tutto quello che l’Essere è e lo si può immaginare essere quello che l’Essere non è.
Le considerazioni riportate stimolano a proporre una configurazione del Nulla partendo dall’unico elemento certo a nostra disposizione ovvero l’Essere.
L’Essere è il mondo della materia, dell’attimo irripetibile, dello spazio che si allontana, dell’energia che si disperde, del vagar nell’infinito al cui pensier la mente si dispera.
L’essere è il mondo delle parti, della disomogeneità, della disuguaglianza che inevitabilmente induce al confronto dal quale nasce la conflittualità che trascina nell’odio.
L’essere è il mondo del dubbio che proietta nel tormento dell’impossibilità della certezza.
L’essere è il mondo del pensiero breve che si ferma sulla soglia della Verità.
(Teribbile!!)
(E l’Ammorre?? Ahi! l’Ammorre!!)
Per tanto, si può scrivere che nel Nulla non esiste il tempo, lo spazio e la temperatura con i loro angoscianti infiniti ed infinitesimi; nel Nulla non vi è la percezione del maggiore e del minore, del prima e del dopo, ovvero di tutto quello che è legato all’Essere, e nemmeno del bene e del male che risultano essere valori soggettivi che esprimono apprezzamenti inerenti alle conseguenze provocate dall’agire sull’essere.
Nel Nulla non vi è posto per l’Essere e la sua diversità così che il Nulla, con null’altro dovendosi confrontare, ha per termine di paragone solo sé stesso ed in questo modo viene a realizzare l’omogeneità assoluta in un’armonia dove tutto è uguale ed uguale al Nulla.
– L’Armonia del Nulla –
(Per gentile concessione della – Pinacoteca dei Senza. Roma -)
Così, il Nulla viene a coincidere con la Perfezione la quale è confrontabile solo con se stessa nell’assenza dell’Essere.
(Il Nulla è la perfezione nell’assenza di ogni essere, una specie dell’onestà del ladro in una casa vuota).
Dunque, il Nulla coinciderebbe con la Perfezione ma anche di questa non riusciamo a comprenderne il significato profondo perché trascende la realtà e quindi il problema riguardante la definizione del Nulla rimane irrisolto.
Tuttavia un aspetto risulta evidente: la coincidenza con la Perfezione toglie al Nulla quell’alone di negatività che lo accompagna trasferendo la percezione della sua presenza nel campo della speranza verso un mondo di armonia al quale l’Essere imperfetto sembra tendere e dove soprattutto il tempo con la sua sconvolgente eternità non esiste.
Procedendo nella riflessione, si riscontra che l’Essere ed il Nulla si trovano in un rapporto di esclusione e sembrerebbe che solo all’annullarsi dell’Essere si possa raggiungere il Nulla, ma ribaltando la situazione ci si può chiedere come dal Nulla possa nascere l’Essere.
Infatti, ammettendo che un giorno tutto debba sparire nel Nulla, è evidente che, raggiunto il livello di perfezione, risulterebbe impossibile effettuare il percorso inverso (hic manebimus optime) perché, venuta a mancare nel Nulla qualsiasi traccia dell’Essere, non si potrebbe successivamente concretizzare qualcosa di cui non si ha più cognizione. —
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Intervallo.
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Ed a grande richiesta (?) insieme al Capitolo XI viene offerto alla lettura anche il Capitolo XII.
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Capitolo XII
La Materia, la Vita, il Pensiero Umano.
Avendo intravisto una condizione di armonia assoluta, la questione che egoisticamente si poneva come fondamentale, era quella di capire se tra tutti gli Esseri dell’Universo che hanno nella materia l’elemento comune, almeno all’essere umano fosse riservata la possibilità, in via eccezionale, di partecipare alla perfezione del Nulla senza, diciamo così, annullarsi completamente e superare l’angosciante problema del tempo senza fine: l’Eternità.
Procedendo per gradi, prima di tutto era necessario indagare sulla natura dell’essere umano, la qual cosa non doveva risultare difficile appartenendo noi alla categoria in oggetto così che era sufficiente guardare in noi stessi per avere una visione esauriente del “chi siamo?”.
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Roma – Terme di Diocleziano. – Conosci te stesso –
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- poggiati i gomiti sul tavolo, presa la testa tra le mani e chiusi gli occhi, mentre cogitavamo per stabilire la linea gerarchica del nostro essere, chi prima e chi dopo, chi causa e chi effetto, il caso volle che si appalesasse una circostanza impellente ed irrefrenabile … – “… ed allora il corpo si alzò e prese a camminare tra lo stupore del pensiero e varcò la soglia del tempio alla sua natura dedicato”… –
Proprio così, il corpo, come un automa, come altro da noi, si era alzato con fare irriguardoso per andare a soddisfare le sue esigenze mentre il nostro pensiero era compostamente assorto nella meditazione sulla natura umana.
Da questa incresciosa situazione, facendoci giudici di noi stessi, risultava che il nostro essere è solamente pensante ed il così detto “nostro” corpo non si può ritenere tale, infatti, il “nostro” corpo non è stato da noi concepito ed inoltre procede in modo autonomo regolato da battiti e ritmi suoi propri, seguendo un itinerario biologico spinto unicamente dalla sua resistenza istintiva a vivere contro il tempo.
Se noi siamo il nostro pensare tuttavia non possiamo negare che siamo costretti a pensare solo quello che esiste e di questo solo quello che il corpo, attraverso i sensi, permette ed ha permesso di conoscere ed allora anche il corpo ci appartiene ma come limite e nello stesso tempo opportunità verso la conoscenza.
Ma quello che appare come un conflittuale rapporto di coppia che tiene uniti il pensiero ed il corpo nella buona come nella cattiva sorte fino a che morte non li separi, in realtà si sostanzia in una convivenza a tre, infatti, sviscerando la natura del corpo, si evince che questo è materiale biologico e quindi costituito dalla materia e dalla vita.
Avevamo così individuato gli elementi che formano l’essere umano e che in numero di tre sono la materia, la vita ed il pensiero umano risultando il pensiero umano pensare l’esistente, la vita fluire senza pensare e la materia esistere senza saperlo, con il pensiero umano che non può fare a meno della materia e della vita, con la vita che necessita della materia e con la materia che non ha bisogno né della vita né del pensiero umano.
Stabilito il percorso Materia → Vita → Pensiero Umano che dall’essere materia porta all’essere umano, rimaneva da trovare l’ultimo tratto che avrebbe permesso al pensiero umano di raggiungere l’armonia del Nulla
Ed allora, per risolvere il problema, risultava necessario impostare la ricerca da un punto di vista energetico, dal momento che ogni essere, per esistere, deve necessariamente avere una sua energia di riferimento.
Roma, 24 Giugno 2018
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Fine della Parte Prima.
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